giovedì 8 gennaio 2009

DISQUISIZIONI DI MUSEOLOGIA - Strani linguaggi colonizzano i nostri musei

6 novembre 2008

E’ ora di dire basta alle parole straniere e difficili che imperano nei luoghi della cultura. Che i nostri musei tornino ad essere all’insegna della chiarezza e soprattutto... della lingua italiana!

L’anno scorso, l’allora ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli aveva nominato una commissione tecnica per riscrivere il linguaggio dei beni culturali. La commissione - presieduta da linguisti (Luca Serianni), studiosi eminenti (Salvatore Settis), lessicografi e giornalisti, oltre che da esponenti di tutti e quattro i Dipartimenti del ministero - avrebbe dovuto provvedere ad una revisione complessiva del linguaggio e della terminologia non solo degli atti amministrativi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali ma anche della vita quotidiana dei musei.


In sostanza, Rutelli invitava, in una lettera circolare inviata dal suo Gabinetto ai direttori generali, a rispettare il linguaggio adoperato dal Codice dei beni culturali e del paesaggio e soprattutto a usare una terminologia che rispondesse il più possibile «a criteri di chiarezza e trasparenza».

Nella circolare si suggeriva anche di evitare l’uso di termini stranieri, in particolare anglicismi, a meno che non si trattasse di neologismi correnti privi di una espressione corrispondente in italiano.

Purtroppo, allo stato attuale, di tale commissione non si è più sentito parlare, né di un documento ufficiale a cui far riferimento. Basta fare un giro, neanche troppo approfondito, tra i musei delle nostre città per accorgersi, già all’ingresso, che i vari “bookshop”, “card” e “tickets” non sono stati sostituiti dai nostrani e demodé “libreria”, “carta” e “biglietti”.

Non possiamo non ricordare che, già nel lontano 1998, una terminologia di strampalata invenzione come “ticketteria” aveva provocato il sarcasmo di Indro Montanelli. Ibrido imbarazzante!

Da allora le “coffee-house” hanno sostituito i “caffè”; i “gadgets” insieme al “merchandising” (prodotti, merci, oggetti) sono venduti in uno “shop” e non in un negozio. La “prenotazione”, desueta perché eccessivamente comprensibile, ha lasciato il posto a “booking” e “reservation”, parole molto più “fashionable” (alla moda)!

Per non parlare poi degli «ipertecnicismi o arcaismi tipici del linguaggio burocratico», che la stessa circolare invitava ad archiviare. Meglio il più consueto “patrimonio culturale”, si diceva, di “giacimenti culturali”. Meglio i vecchi e cari “museo”, “galleria”, “pinacoteca” di “contenitore museale”.

E che dire della parola più abusata di questi tempi: “evento”, che vuol dire tutto e niente (alla lettera “avvenimento passato, concluso”). Non si usa più pubblicizzare mostre, manifestazioni, spettacoli, concerti, fiere. Perché sforzarsi di specificare se ognuno di questi concetti può essere riassunto dalla parola magica? Sono tutti “eventi”.

La commissione nominata non aveva il compito di imporre alcuna sostituzione ma di proporre dei consigli per arginare un fenomeno in crescita in Italia, altrove incomprensibile. Per citare solo due esempi: in Spagna (vedi Museo del Prado) tutto è indicato in spagnolo, di frequente catalano e casigliano, naturalmente con le dovute traduzioni per gli stranieri; in Francia, dove addirittura esiste un organo ministeriale preposto unicamente alla tutela della lingua francese, si assiste a volte all’eccesso opposto (non è infrequente trovare il nostro Michelangelo tradotto in Michel Angel! ).

Se uno dei compiti del ministero è quello di «contribuire a formare e diffondere una cultura nazionale della quale la lingua italiana rappresenta un fondamento imprescindibile», sarebbe giusto che se ne ricordasse anche l’attuale ministro e che continuasse a battere questa strada con più fermezza dei tentativi precedenti.

Difendere la lingua italiana vuol dire difendere la nostra cultura da una stupida massificazione, vuol dire riappropriarci della nostra identità e dimostrare ai milioni di visitatori stranieri che affollano le nostre città, i nostri musei e luoghi d’arte che siamo orgogliosi di essere Italiani. Se non completamente, almeno di quel fiore all’occhiello che è il nostro patrimonio culturale.

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