giovedì 8 gennaio 2009

TRADIZIONI - Pasquino, la voce del popolo romano

24 giugno 2008

Pasquino è la più celebre “statua parlante” di Roma, voce dello sberleffo e della satira, crudele e spietatissimo, pronto a mettere alla berlina potenti e porporati, divenuto figura caratteristica della città fra il XVI ed il XIX secolo.

Nel 1501, durante gli scavi per la pavimentazione stradale e la ristrutturazione del Palazzo Orsini (oggi Palazzo Braschi) fu ritrovato un frammento di una statua maschile in stile ellenistico, risalente probabilmente al III sec. a.C., danneggiato nel volto e mutilato degli arti. Da allora, la scultura venne posizionata all’angolo del palazzo lì dove si trova ancora oggi, in quella che un tempo era detta Piazza di Parione ed oggi Piazza di Pasquino, appena dietro la ben nota Piazza Navona.
All'antico torso greco, copia romana in marmo di un'opera originale in bronzo, forse dello scultore Antigonos di Pergamo, il nome Pasquino venne dato casualmente e fin dal ‘500 invalse l'uso d'attaccarvi biglietti satirici e provocatori.
Ai piedi della statua, ma più spesso al collo, si appendevano infatti nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere i personaggi pubblici più importanti, rigorosamente in forma anonima. Erano le cosiddette “pasquinate”, dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida, il malumore popolare nei confronti del potere e l'avversione alla corruzione e all'arroganza dei suoi rappresentanti.
Nonostante fosse questa l’origine delle pasquinate, di lì a poco la fantasia popolare diede vita ad una serie di leggende intorno al personaggio di Pasquino, tra le quali si impose quella di un sarto del quartiere dalla lingua tagliente e puntuta come le sue forbici e i suoi aghi che, a lavorare le vesti papali, veniva a conoscenza delle sozzure della corte e le rendeva note ai concittadini. Altre leggende lo volevano barbiere, fabbro o maestro di scuola.
Frutto della necessità popolare di dare sfogo al risentimento contro i soprusi del potere, Pasquino divenne in breve tempo fonte di irritazione e di preoccupazione per i potenti presi di mira dalle pasquinate, primi fra tutti i papi.
Diversi furono quindi i loro tentativi di arginare il problema: Benedetto XIII emanò un editto che garantiva la pena di morte, la confisca e l'infamia a chi si fosse reso colpevole di pasquinate. Fu persino dato ordine di gettare il torso nel Tevere. La statua fu salvata grazie alla lungimiranza degli smaliziati cardinali della curia che intravidero il pericolo di un simile attacco alla naturale inclinazione alla satira del popolino romano.
Una delle pasquinate dell’epoca è rimasta famosa fino ai nostri giorni: Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini (Quello che non hanno fatto i barbari, hanno fatto i Barberini). La frase era dedicata a Urbano VIII Barberini (1623-1644), il papa che permise di usare le decorazioni in bronzo del Pantheon per realizzare il Baldacchino di San Pietro in Vaticano.
Tuttavia, col passare del tempo, anche la produzione di pasquinate si estinse naturalmente. Con la breccia di Porta Pia e la fine del potere temporale, la statua tacque, priva del suo antico bersaglio. I fogli appesi tornarono solo saltuariamente.
Durante il fascismo, in occasione dei preparativi per la visita di Hitler a Roma, Pasquino riemerse dal lunghissimo silenzio per notare la vuota pomposità degli allestimenti scenografici, che avevano messo la città sottosopra per settimane: “Povera Roma mia de travertino! T'hanno vestita tutta de cartone pè fatte rimirà da 'n'imbianchino... ”
Oggi Pasquino, così come altre statue simili, gode di un particolare status giuridico, la cosiddetta dicatio ad patriam. Questa consiste nella messa a disposizione di un bene per il soddisfacimento di un’esigenza non contingente della collettività, in poche parole tale bene viene asservito all’uso pubblico, nel luogo in cui esso si trova.
Questo riconoscimento non avviene di frequente, dal momento che, affinché sorga una servitù di uso pubblico su un’area privata è necessario che l’uso dell’area avvenga da tempi imprecisati ad opera di una collettività indeterminata di individui, considerati non uti singuli, bensì uti cives (come cittadini) ed occorre, altresì, che tale uso soddisfi un interesse pubblico.
Dal 1500 fino ad oggi, insomma, Pasquino è un bene di tutti, della comunità. Un modo di fruire l’arte – perché di questo si trattava quando la statua venne realizzata – collettivo, pubblico, democratico. Pasquino continua ad essere preservato e rispettato in uno spazio aperto, per la strada, fuori dai palazzi nobiliari, fuori dai musei. Nessuno ha mai osato sfregiare o attaccare la statua, amica della gente comune.
Da secoli fa parte della storia, della tradizione e dunque della cultura del popolo di Roma. Così tanto che ancora ai nostri giorni è traboccante di tirate satiriche dirette a Berlusconi (il più gettonato), Cuffaro & Co., per continuare a soddisfare l’esigenza mai sopita di dare libero sfogo contro i “papi” del momento.

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