Questa settimana andremo a scoprire cosa si nasconde dietro "agli amici di Pasquino," statue la cui espressività va molto oltre il semplice valore estetico.
Pasquino non era l’unica “statua parlante” di Roma, altre sculture di questo tipo gli tenevano compagnia in città e oggi godono del suo stesso status giuridico. Tutte insieme formavano la cosiddetta “congrega degli arguti”. In questa seconda parte dell’articolo ne faremo la conoscenza, a spasso per questo museo all’aperto che è Roma, la quale ci restituisce come per magia pensieri, lamentele, proteste e prese in giro dei suoi cittadini attraverso i secoli.

Un'altra statua è conosciuta come Madama Lucrezia e si trova in un angolo di Palazzetto
Venezia in piazza San Marco, adiacente a piazza Venezia. Questo enorme busto marmoreo, alto circa 3 metri, proviene da un tempio dedicato a Iside e raffigura una sacerdotessa di questo culto se non la stessa dea. Il soprannome deriva da una nobile dama del XV secolo, che si era innamorata del re di Napoli, il quale però era già sposato; Lucrezia si era recata a Roma per cercare di ottenere dal papa la concessione del divorzio per il sovrano, ma il tentativo fallì. L'anno seguente il re morì e l'ostilità del suo successore costrinse la dama a fuggire da Napoli per tornare a Roma, dove abitò appunto presso la suddetta piazza.




Nonostante una relazione del Vanvitelli attribuisse l'opera a Michelangelo, la fontana fu realizzata da Jacopo Del Conte intorno al 1580 per incarico della Corporazione degli Acquaioli. Vi è scolpito un busto d'uomo dal volto sfigurato col berretto, le maniche rimboccate e un caratello fra le mani da cui versa acqua. La fantasia popolare gli attribuì parecchie identità, ma si tratta semplicemente di un “acquarolo”, impropriamente soprannominato “facchino”, uno di coloro cioè che di notte riempivano botticelle con l'acqua del Tevere o della Fontana di Trevi e di giorno la vendevano per strada o nella case.
Su tutte queste statue, come su quella di Pasquino, venivano appesi i consueti fogli satireggianti contro papi e potenti, di cui abbiamo scritto nel precedente articolo. Divertente, ma soprattutto antropologicamente interessante, è notare come il popolo abbia sempre attribuito le più disparate identità, caratteristiche e persino una personalità ad ognuna di queste sculture inanimate.
Goliardia? Culto animistico al limite dell’idolatria? Spontaneo istinto al gioco? O semplice necessità di affidare ad entità non perseguibili dalla legge la voce tagliente del popolo?
Quando si dice che alle statue manca la parola…
Quando si dice che alle statue manca la parola…
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