giovedì 8 gennaio 2009

INTERVISTE - Intervista alla pittrice greca Lila Iatruli

21 marzo 2008


Abbiamo intervistato la pittrice greca Lila Iatruli per sapere cosa ne pensano i “diretti interessati” a proposito degli spazi espositivi, che possono variare da quelli tradizionalmente consacrati all’arte, come i musei e le gallerie, ai luoghi più imprevedibili e sorprendenti.


Dall’autosalone PORSCHE Italia nel 2006 alla Biennale del Cairo nel 2003 ove ha rappresentato la Grecia, ai negozi d’alta moda di Via Borgognona a Roma nel 2005. Lei, come pittrice, ha esposto nei luoghi più differenti. È stata più una casualità o una scelta precisa?
Una scelta, direi. A mio avviso, tutte le persone possono e devono venire in contatto con l’arte, non soltanto coloro che la amano e che usualmente frequentano i musei e le gallerie. I luoghi dove ho avuto la fortuna di esporre hanno offerto a molti la possibilità di avvicinarsi all’arte in modo occasionale. E questo lo trovo utile sia per il progresso del mio lavoro sia per il rapporto che ho col mio pubblico.
Sembra che lei sia particolarmente attratta dai contrasti. Per esempio, all’autosalone della Porsche era evidente quello tra le macchine e la morbidezza e freschezza della Natura rappresentata nei suoi quadri.
I contrasti sono sempre interessanti. Il design, la tecnologia contrastano sicuramente con la natura fisiocentrica delle mie opere, ma ci sono pure delle affinità. Anche in questo caso, le scelte non sono state casuali: la Porsche è attenta nei dettagli, nella forma, così come i grandi stilisti hanno amore per il particolare che rende un abito unico, di alta moda anziché di prêt a porter. C’è una parte di passione in comune.
L’ultima sua mostra personale, appena conclusa, si è svolta al VOY, un locale al centro di Roma. Come è stata questa esperienza?
L’esperienza è stata positiva. Questo locale è sempre aperto, dalle 8.00 della mattina alle 2.00 di notte. Vi entra gente variegata, dagli addetti alle pulizie agli uomini d’affari ai giovani nell’ora dell’aperitivo. Ho avuto riscontro con le persone più diverse. È giusto che tutti convivano con l’arte, non solo chi è benestante. I miei clienti vivono e convivono con le opere, alcuni addirittura mi dicono di parlare con i quadri, che ogni giorno appaiono loro diversi. Per questo, adesso ho in mente delle opere tridimensionali da esporre per strada.
Il fatto che i suoi quadri, oltre a possedere una qualità espressiva, abbiano innegabilmente anche una natura decorativa li rende più flessibili e adattabili a contesti diversi.
È vero, si adattano in qualsiasi contesto, da un ambiente minimale ad uno pieno di oggetti antichi, a uno di alto design. Così deve essere l’arte vera, duttile.
Com’è il rapporto tra un’artista contemporanea, le gallerie e chi le gestisce? Quali difficoltà?
Non ho grande esperienza di collaborazione con gallerie, a volte non ci siamo trovati in sintonia. Sto cercando un gallerista o un mercante d’arte, che siano dei professionisti seri. Spesso chi fa un mestiere creativo non ha anche le doti per gli affari. Io vivo di questo lavoro e collaborare con professionisti è un bisogno.
Ci sono differenze, in tal senso, tra l’Italia e gli altri Paesi?
Poche differenze, credo. Il sistema dell’arte, nel bene e nel male, è ormai internazionale.
Qual è, se esiste, a suo giudizio, lo spazio espositivo ideale? Meglio uno spazio assolutamente neutro dove il pubblico può concentrare lo sguardo solo sulle opere? O uno ben caratterizzato, dove inserire le proprie opere in un contesto già esistente, che può suggerire nuove chiavi di lettura?
Sono interessanti entrambi i casi. Ho esposto in mostre istituzionali, come a Napoli, dove gli unici elementi d’arredo sono pareti completamente bianche e l’illuminazione puntata sui quadri. Lì senza dubbio le opere risaltano, ma anche un ambiente già definito, come un ristorante o una vecchia industria può dare stimoli nuovi. Qui l’opera d’arte, se è valida, si sa trasformare, sa convivere con il luogo. Durante la Biennale dei Giovani Artisti a Torino, mentre stavo allestendo un’opera di 4x4 metri in uno spazio dedicato a ragazzi con disturbi psicologici, questi hanno cominciato pian piano ad avvicinarsi, a curiosare, a chiedere. Insieme allo psichiatra, agli infermieri, tutti insieme mi hanno aiutata a sollevare e montare i pannelli. Hanno partecipato all’opera, insomma. È stato talmente commovente che alla fine gliel’ho regalata.

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